Casualties
di Alice Ayres
Ci illuderemo, oh se lo faremo. L’abbiamo sempre fatto.
Che il treno sia giunto al capolinea, finalmente e purtroppo.
Che nulla sia più bello della solitudine, e delle novità, e della freschezza di ennesime prime volte.
Che in fondo non abbiamo poi così tanto da dirci.
Che in fondo non sei poi così bella. Che in fondo non sei poi così splendido.
Qualcun altro. Qualcuno con cui svagarsi. A cui non dovere niente. Qualcuno che non sappia farci piangere, ma forse nemmeno ridere. Qualcuno con cui fingerci migliori, oppure non fingere affatto, ché tanto il giudizio di chi non ci sta a cuore non conta. Qualcuno che riponga la tazza nel lavabo dopo aver fatto colazione anziché lasciarla sul tavolo, che beva caffè la mattina come ogni italiano che si rispetti.
Qualcuno con cui fare i pavoni gongolando nella ritrovata ricchezza di effimerità, con cui passare una sera, una notte, una settimana, un mese, a soddisfare le funzioni primarie più egoistiche. Aspettando l’amore. Aspettando la passione. Aspettando l’infatuazione. Aspettando quelle cose che con tutto il cuore speriamo non siano ancora cucite addosso a chi vorremmo lasciarci alle spalle. A chi è sbagliato per mille motivi, e per questo altrettanto irripetibile.
Qualcun altro. A cui strappare sguardi speranzosi e batticuori celati senza nemmeno saperlo. A cui affezionarsi per inerzia, ché a quest’ora cosa vuoi, mi va bene pure lei. Una fuga, un nuovo inizio prima che la fatica di conoscere e farsi conoscere prenda il sopravvento. Un passo, un segno – un palliativo – che possa tracciare più nettamente una fine che di fine ha solo la demarcazione tra tranquillità e disperazione. Calore e solitudine. Im-perfezione.
Una volta una persona mi ha detto che esistono due categorie di individui, quelli che hanno bisogno di ardere e quelli a cui basta una pacata – indolore – quotidianità. E che io appartengo al primo gruppo, perché la passione è il mio ossigeno, così come l’inseguire, il cadere, il rialzarsi, il ferire, il difendere, il piangere di gioia e depressione, l’urlare di rabbia e risate, l’ansimare di angoscia e di sesso.
In quel momento ho capito che ‘verità’ a volte fa rima con ‘condanna’. Una verità che nessun altro – e nessun’altra – potrà mai capire.
Ché l’inquietudine di fondo è il legame più pericolosamente indissolubile.
Hai perfettamente ragione quando parli di inquietudine,ed è questa il cardine su cui poggiano tutte le nostre esperienze del vissuto. Dove in un crogiolo di parole ed emozioni. vissute o mancate, nascono effimeri convincimenti dove la blasfemia delle nostre idee blandisce la vera essenza dell’amore.
E chiamiamo amore le emozioni più forti che abbiamo vissuto pur sapendo che non basteranno e sperando senza fine che ci sia di più.
Quindi la chiave potrebbe essere accontentarsi di ciò che viviamo ma per le anime di cui parli,quelle erranti che cercano il periglio in ogni angolo che cercano la verità e non saranno mai dome di se stesse, non c’è scampo non ci sono nascondigli naturali .La società in cui viviamo ne crea di veramente di artificiali ,ma che si sgretolano alla prima brezza emozionale e diventa difficile assuefarsi a queste enormi bugie.
Quello che scrivi apre cuori e anime ,grazie
Marco
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Bisognerebbe farne un poster e leggerti tutte le mattine.
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L’ultimo paragrafo. Che sono io. E mi ci ritrovo fino alla nausea.
Verità e condanna, mai cosa più vera.
Ti stringo anche da lontano.
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Alice. Aiuto mi sono messa a piangere
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Quando si tocca con mano l’amore autentico con tutto ció che esso comprende, quando si conosce la distruzione che ne deriva, quando hai provato troppo, è cosi che ti senti, è così che capisci che non puoi accontentarti. Non si puó fingere. Mi ritrovo nelle tue parole anche questa volta, vorrei solo facesse un po’ meno male. Ti abbraccio forte.
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“applausi”#2
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